Joseph Tritto, il libro sul Covid19: il virus nasce in laboratorio

Joseph Tritto Covid19

Joseph Tritto Covid19

Nell’agosto 2020 si finisce di stampare il libro “Cina Covid-19 La chimera che ha cambiato il mondo“, del professore Joseph Tritto, medico e ricercatore italiano. Del perché il libro non sia stato pubblicizzato dalla stampa italiana non ne parleremo in questo articolo in quanto si propone con l’intento di informare attraverso fonti esatte e non ipotetiche. Ci potrebbero essere molti interessi con gli accordi economici con la Cina, cose più grandi di noi di cui non sapremo mai la verità.

Ci teniamo a raccontare le verità studiate in laboratorio dal professore e il suo team, senza andare oltre con ipotesi che potrebbero sfociare in un ipotetico complottismo. Riporteremo nell’articolo solamente dati certi e approvati scientificamente dalla ricerca.

Chi è Joseph Tritto

Joseph Tritto
Joseph Tritto

Medico e ricercatore italiano, urologo, andrologo e microchirurgo ricostruttivo per l’infertilità di coppia. Visiting professor di Microchirurgia e microtecnologie all’Aston University di Birmingham e di Micro e Nano tecnologie presso BIB, Brunel University di Londra. E’ inoltre il direttore di Nano Medicina all’Amity University di New Delhi. Coordinatore internazionale “Human-Nano-Bio-Somes Technology” per una nuova generazione di farmaci antiretrovirali per l’HIV e potenzialmente per HCoV-19, oltre che presidente di tante altre accademie, associazioni e fondazioni internazionali.

Cina Covid-19 La chimera che ha cambiato il mondo” il libro sul Covid19

Joseph Tritto Covid19
Joseph Tritto Covid19 (Pixabay)

“La mia vuole essere la ricerca della verità dei fatti, e dell’evidenza cronologica dell’evolversi dell’epidemia” spiega Joseph Tritto. “La testimonianza della sofferenza delle persone colpite, la critica ragionata delle verità assunte della scienza medica. Per me che ho speranza nel futuro dell’umanità e nella giovane generazione che seguirà”.

Nel 2010, spiega il professore, sono partiti studi più approfonditi sul Microbioma terrestre e sui cambiamenti della composizione di quest’ultimo. Cos’è un microbioma? Semplificando possiamo dire che è l’intero patrimonio genetico dei microrganismi di un ambiente definito, comprendendo le loro interazioni. Con gli studi si è creata una mappa microbica del pianeta: proprio attraverso il microbioma si può capire anche il luogo di provenienza del microbo; in questo modo sono riusciti a sequenziare il gene 16SrRNA, il ‘marcatore genetico specifico’ per i batteri (microbi). Praticamente, in parole povere, quelli con base uguale vengono raggruppati come ‘stessa specie’, così da creare una legenda che raggruppasse le varie specie.

E’ andato avanti anche il progetto HMP (Human Microbiome Project), il fine ultimo del progetto era caratterizzare tutti i geni di origine esterna per capire come contribuiscono alla nostra fisiologia e predisposizione alla malattia e quindi che ruolo hanno nel microbioma umano. Attraverso tutti questi studi è venuta fuori la verità che già da tempo conoscevamo: inquinamento, antibiotici e tante altre variabili hanno avuto influenze fortissime sui cambiamenti dell’intero microbioma terrestre.

Esiste uno stretto rapporto tra virus e microbi e sembra proprio che la presenza di virus sia cresciuta in modo ancora non del tutto quantificabile. Sicuramente con il passare del tempo, spiegano gli scienziati, saremo sempre più a rischio virus patogeni.

Cosa significa che un virus è un ‘Patogeno’

I virus patogeni sono virus che per replicarsi richiedono il meccanismo di Sintesi proteica delle cellule ospiti, quindi hanno bisogno di un corpo ospite, il quale, attraverso le sue cellule, li aiuti a replicarsi e sopravvivere con la sintesi proteica che il virus non è in grado di svolgere. Il Covid-19 è un virus patogeno per l’essere umano in quanto ha bisogno del suo corpo per esistere e riprodursi.  A volte si può parlare di Evasione virale: succede quando il virus riesce a ‘mimetizzarsi’ evitando così la difesa da parte dei microbioti (le naturali difese immunitarie) che non riescono ad individuarlo. E’ una strategia di attacco silente, ancora molto studiata.

Gli studi sulle interazioni tra microbiota commensale (per esempio le nostre difese immunitarie) e virus patogeni(per esempio il Covid19, ma anche l’influenza) sono ancora oggetto di tanti studi sperimentali. Il microbiota, spiega Tritto, può essere una protezione contro l’invasione virale, oppure può essere un aiuto per il virus stesso. A volte, infatti, innesca la risposta del sistema immunitario per evitare l’infezione, altre invece, favorisce l’invasione con le interazioni dirette e indirette che spiegheremo nel prossimo paragrafo.

Rapporto virus-batteri

Esistono due tipologie di interazioni, spiega il professore. Attraverso una semplificazione estrema, utile alla comprensione di tutti, si possono dividere in ‘interazione diretta‘ e ‘interazione indiretta‘. Nel primo caso il virus sfrutta il componente batterico per penetrare nella cellula ospite, nel secondo, il virus provoca un aumento della patogenicità batterica come conseguenza dell’infezione virale avvenuta. In questi casi il virus viene ‘assecondato’ dal microbiota.

Ricerche ‘Gain of function’

Gli studi sul ‘Gain of Function’ o ‘guadagno di funzione‘ sono delle ricerche portate avanti da team americani e cinesi. In laboratorio gli agenti patogeni possono essere geneticamente modificati per esaltarne alcune caratteristiche, come, per esempio, la loro virulenza. Ciò si fa per poi sviluppare delle terapie, comprenderne i meccanismi di trasmissione, o per creare armi biologiche (l’ingegneria per le armi biologiche è molto utilizzata in Cina in quanto sfugge alle convenzioni internazionali di biosecurity e biosafety).

La pericolosità di queste ricerche è data dal fatto che il virus studiato potrebbe contagiare per possibili incidenti in laboratorio e così diventare in poco tempo virale. Per questo è necessario svolgere gli studi in ambienti super sicuri seguendo i giusti protocolli. Negli studi del Gain of Function, condotti da alcuni scienziati che lavorano in contatto con i centri federali di controllo e prevenzione delle malattie, ritroviamo le tematiche riguardanti i coronavirus, specialmente MERS e SARS e la creazione di modelli ricombinanti chimerici. La collaborazione è tra team americani guidati dal prof. Ralph Baric e cinesi con la professoressa Shi Zheng-Li del laboratorio di Wuhan in Cina.

Tutti coloro che partecipavano a queste ricerche sono stati messi a tacere, subito dopo lo scoppio della pandemia, come tentativo disperato di preservare la possibilità di utilizzo, negli anni successivi, delle metodologie di ricerca Gain of Function. Nel 2019 il team di Wuhan, infatti, ha presentato il programma di formazione dettagliato per gli operatori nel laboratorio per avere le carte in regola e svolgere un lavoro di ricerca nel campo della prevenzione del controllo degli agenti altamente patogeni per l’uomo. Le ricerche prevedevano anche un contratto segreto con il Pakistan per lavorare su esperimenti per armi biologiche.

La Cina non ha messo a disposizione l’interno pattern genetico del virus

Quando il governo cinese ha deciso di annunciare che era stato scoperto questo nuovo virus, dopo 48 ore, ha messo a disposizione il pattern genetico per tutti i ricercatori del mondo. Gli scienziati hanno verificato che il pattern era solo parziale, non completo. Tutto ciò infatti è stato riportato sulle relazioni pubblicate nel portale del National Center for Biotechnology Information.

Gli studi cinesi sui virus andarono avanti anche con gli pseudotipi virali: partendo da particelle dell’ HIV-1 (ovvero del virus dell’Aids) da mettere in relazione con la SARS (coronavirus), utilizzati non solo per capire i meccanismi di entrata da parte del virus, ma anche per capire come creare dei vaccini. Il progetto è condotto dalla prof.ssa Shi Zheng-Li nel centro di virologia che si trova a Wuhan, e vede la creazione di SARS ricombinanti.

Il virus Covid19 non proviene solo dal pipistrello, ecco perché è una news non completa

Tra i virus ricombinanti, la professoressa portava avanti le ricerche anche sul SARS-CoV-2 (quello responsabile di tutta la pandemia). Analizzando il virus in laboratorio, spiega Tritto, esso si presenta come una vera e propria combinazione di due patrimoni genetici che non provengono solamente dal pipistrello. Parliamo del patrimonio genetico di un coronavirus del pipistrello e di un coronavirus del pangolino. Ecco perché è un virus chimerico ricombinante.

Questa ricombinazione potrebbe essere considerata ‘wild’ ovvero naturale, ma il vettore intermedio non è ancora stato scoperto; in pratica per incontrarsi i due virus avrebbero utilizzato un corpo, chiamato vettore intermedio che li avrebbe ospitati entrambi per poi creare dentro di sé una ricombinazione. Tutto ciò, spiega il professore, può accadere in un periodo di almeno 200 anni e l’uomo non può essere ospite intermedio perché sarebbe stato morso da un pipistrello appartenente alla specie ‘ferro di cavallo’ e poi da un pangolino che si nutre solo di formiche (ammesso poi che riuscirebbe a mordere un uomo, evento mai verificatosi nella storia umana, spiega il medico). Ovviamente il vettore intermedio non è mai uscito fuori.

Questi due virus poi avrebbero dovuto unirsi e ricombinarsi nel sangue umano. Per arrivare alla ricombinazione finale, si prevedono due ricombinazioni successive che si sarebbero dovute verificare in natura in un relativo breve periodo: ciò, spiega il professore, non è compatibile con gli studi di biologia evoluzionistica della specie, di paleovirologia e di deriva genetica.

Il virus presenta nucleotidi che appartengono al virus dell’AIDS

Il gruppo dell‘Indian Institute of Technology di New Delhi ha presentato un articolo il 31 gennaio 2020 in cui dimostrava che almeno 4 nucleotidi che appartenevano al virus dell’AIDS (confermato poi da Montagnier, premio Nobel della medicina)erano inseriti nel genoma del Coronavirus e, soprattutto, che tutto ciò non poteva in alcun modo esistere in una ricombinazione naturale.

Il prof. Richard H. Ebright, della Rogers University, ha parlato del laboratorio di Wuhan come un edificio con un livello di sicurezza P2 e non P4 come annunciato nel programma. Il che era pericolosissimo per gli incidenti da laboratorio: questo tipo di ricerche andrebbe condotto solo ed esclusivamente in laboratori di livello P4 e attraverso procedure previste in tutti gli altri paesi per la ricerca di armi biologiche.

La prof.ssa Shi Zheng-Li non è più direttrice di Wuhan e di lei si sono perse totalmente le tracce.

Il covid-19 è creazione di laboratorio: la spiegazione scientifica

Mascherine covid

Il SARS-CoV-2 – HCoV-19 (ovvero il covid19, responsabile della pandemia) ha un genoma di 30 kilobase, spiega Joseph Tritto. Cos’è un genoma? Corrisponde semplicemente al DNA dell’essere vivente, in questo caso parliamo di virus, quindi di RNA (perché il virus non possiede un DNA). La proteina Spike (S) è quella che permette al virus di attaccarsi alla cellula ospite attraverso il recettore di quest’ultima, e poi entrare in essa. Sarebbe un pò come le zampette di una zecca: attraverso quelle lei riesce ad entrare nel corpo ospite e succhiare il sangue. Nel caso della proteina Spike, essa verrà in contatto con il recettore che è presente sulla superficie di ogni cellula dell’essere vivente ‘ospite’.

Quando parliamo dell’essere umano, parliamo di un recettore ACE2(tralasciando il perché scientifico, viene chiamato così). La proteina Spike rappresenta il 12-13% dell’intero genoma del virus. Quest’ultima è formata da due subunità: S1 e S2, ma in questo caso, il virus ha solo la Subunità S1 che riesce ad interagire con il recettore ACE2 della cellula umana (l’altra Subunità S2 non è compatibile con il recettore ACE2, in poche parole, se avesse solo questa, il virus non sarebbe un patogeno per l’uomo).

Il 23 gennaio 2020, la prof.ssa del laboratorio di Wuhan pubblica un articolo sulla scoperta di un nuovo coronavirus originato da questo fatidico pipistrello: in realtà non ha affinità con il recettore umano, apparirerebbe un’affinità debolissima, quasi inesistente. Quello del pangolino invece è compatibile con il recettore umano. A questo punto parliamo di un virus chimerico ricombinante: tagliato alla perfezione per acquisire, con la proteina Spike del virus del pangolino, la capacità di legarsi al recettore umano.

Ma non è finita qui: una volta entrato nell’uomo, per replicarsi ha bisogno di una o più proteasi della cellula ospite (quella dell’umano); nella sequenza della proteina Spike (S) del covid19 c’è una sequenza tra S1 e S2 che non è presente né nel virus del pipistrello, né in quello del pangolino. E’ un inserto aminoacidico nuovo: il PRRA. Tralasciando tutto il processo chimico troppo complicato, possiamo sintetizzare dicendo che: per far sì che l’inserto funzioni e quindi svolga l’azione tossica per l’uomo, deve essere tagliata la proteina spike. Il virus non ha delle forbicine, spiega il prof, e quindi (grazie al PRRA inserito artificialmente) riesce ad appoggiarsi alla furina in grado di tagliare la proteina e quindi riprodurre il virus facilmente nel corpo dell’uomo. Questa sostanza si trova sulla superficie cellulare e intra cellulare. In questo modo riesce ad avere un forte effetto sugli umani (soprattutto sugli anziani).

Nel 2015 la Shi Zheng-Li aveva pubblicato un articolo di virologia sul Gain of Function in cui presentava la creazione di un virus chimerico sintetico utilizzando il SARS-CoV, sintetizzando lo Spike (la proteina di cui parlavamo prima che si attacca ai recettori dell’ospite) del virus del pipistrello con un SARS-CoV adattato al topo (ciò che è successo anche nel Covid-19, con pipistrello e pangolino, poiché il secondo aveva la proteina legabile al recettore umano).

In conclusione l’11 marzo la dottoressa ha risposto ad un’intervista (dopo di che non ha più parlato in quanto censurata dal governo) sostenendo: “Potrebbe essere arrivato dal nostro laboratorio, quello è stato un vero peso. Non ho chiuso occhi per giorni”.

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