“La colpa è dei giovani” ma loro soffocano d’accidia

I giovani e l'accidia (Pixabay)
La colpa è dei giovani
La colpa è dei giovani. La colpa è sempre dei giovani: ovunque guardi, qualsiasi cosa leggi. Il paese non produce perché i giovani sono svogliati, il paese va sottosopra perché i giovani non studiano a scuola e poi sono così svogliati che una volta finite le superiori vivono fino a 30 anni (se tutto va bene) con i genitori.
E poi i giovani non hanno voglia di cimentarsi in qualcosa, sono viziati e pensano solo a fare aperitivi e festicciole. Anche la colpa dei contagi covid19 è colpa dei giovani; non della sanità che non funziona, neanche di Roma e Milano con le metro piene. La colpa è dei giovani che vanno la sera a fare aperitivo, non delle file fuori i locali di Milano a pranzo, non di tutti i lavoratori che si accalcano per la mezz'ora di pausa lavoro.
Insomma, pensate a qualche problema societario? E' colpa dei giovani. Sono o ‘troppo' o ‘troppo poco', mai abbastanza. Diciamo che è una forma di convenienza: la colpa viene data ai giovani perché è più facile così. Nessuno però parla dei ragazzi che dopo 5 anni di università devono passare da uno stage all'altro fino ai 30 anni: forse è per questo che continuano a vivere da mamma e papà? Perché chi è che nel 2021 riuscirebbe a vivere con 700 euro al mese (se sei fortunato!)?
Perché i giovani vengono visti come spenti e senza voglia di fare
Perché non si fa mai un'analisi profonda? Perché non ci si chiede perché i ragazzi sono così svogliati, spenti e senza voglia di fare? Se si fa uno storico sulla condizione giovanile si può iniziare ad individuare il problema all'apice: con gli anni della rivoluzione, con i sessantottini, si inquadrava una generazione piena di vita. Scendevano in piazza e gridavano contro il governo, poi lo sballo continuava con le droghe: la maggior parte è morta di overdose da eroina.
Avevano così tanta voglia di fare che poi rimanevano delusi dalla realtà dei fatti; i sogni svanivano, le iniziative anche: sviliti e affranti trovavano la pace con l'ago in vena. La vera triste storia dei sessantottini è stata questa, niente sogni gloriosi, niente eroi, solo vinti.
Come sono cambiate le cose nel tempo? Perché le generazioni di oggi sono così diverse rispetto a quelle di anni fa? Il tessuto sociale si è sfibrato e il modo di approcciarsi agli altri ha subito uno squilibrio. Anche i giovani ne hanno risentito e il cambio di vita è stato repentino. I videogiochi, il divano, il rifiuto alla vita sociale.
La tecnologia è stata maestra in questo campo. L'isolamento creato dallo smartphone è il lato nascosto della medaglia: lo strumento nasce per mettere in comunicazione le persone, ma finisce per allontanarle. Non vedete anche voi il lato malato di tutto ciò? E' impossibile pensare che questo non influenzi radicalmente la nostra vita.
Mio nipote passa i pomeriggi davanti alla tv, poi ogni tanto mi guarda e dice: “Zia non so cosa scegliere”. Innervosito, molte volte inizia a lamentarsi per ore: non ha più voglia di scegliere alcun cartone. Parliamo di una casa che oltre al digitale terrestre ha Sky e netflix: un'infinità di possibilità di scelta si apre davanti al bambino di soli 5 anni. Qual è la reazione aspettata? Un'enorme felicità.
In realtà il momento di euforia dura pochi giorni, successivamente il bambino si estranea: la scelta diventa difficile perché il suo cervello dovrebbe analizzare troppe variabili, ed in fondo lui voleva solo guardare un cartone animato per passare il tempo. Il risultato che si ottiene? Un bambino annoiato e svogliato sul divano che nonostante l'infinita lista di possibilità continua a ripetere di non riuscire a scegliere cosa vedere. Lo sento che si innervosisce, lo capto dall'espressione del suo viso. Qual è il problema? Gli ho offerto così tante cose eppure è sempre annoiato: un bambino viziato?
Il punto di vista degli adulti è sempre alterato: guardano la reazione del bambino, ma non indagano all'apice cosa ha fatto scattare quel comportamento. Non si tratta di bambini viziati, o almeno non è del tutto appropriata l'attribuzione dell'aggettivo: vengono richiesti troppi sforzi, i neuroni vengono esposti a troppi stimoli. Anzi, vengono esposti agli stimoli sbagliati!
Sapete cosa succede al nostro cervello dopo anni e anni di annunci pop-up che si piazzano davanti ogni volta che apriamo un sito? La mente non li considera proprio. Più precisamente appena vede qualcosa che ha le sembianze di un annuncio lo elimina completamente dal campo di analisi, lo ignora. Questo porta i pubblicitari ad escogitare pubblicità sempre più subdole: che riescano ad infilarsi nei pensieri senza che il consumatore se ne accorga.
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Ecco perché colpisce l'accidia
L'accidia è il sentimento che sta colpendo di più in questi ultimi anni: sia grandi che piccoli. La parola deriva dal greco: ‘akédia' ovvero noncuranza. Per gli antichi l'accidia era una virtù: l'ozio era necessario per lo spirito e per la mente. L'accidia è la scelta salvifica dell'individuo immerso nella società della performance. Il range di possibilità di scelta è così ampio che si decide di non scegliere, e quindi salvarsi. Come ogni volta che ci ritroviamo davanti a giornate stressanti e quando arriva sera ci rendiamo conto di non aver fatto neanche una delle lunghissima lista di cose da fare.
“Essendo l'uomo continuamente costretto a scegliere, il non agire sembra essere l'ultimo rifugio della saggezza, un modo per non sbagliare” Così scriveva Castellaneta già negli anni '80. Ciò che affligge oggi è un'accidia che confina nell'atarassia: la completa indifferenza alle passioni, l'allontanamento dall'incertezza del possibile e il consequenziale svuotamento.
Ci si svuota perché la pienezza pesa e oggi gli stimoli sono troppi, come le scelte, e le infinite possibilità dell'Essere. Allora ci si svuota così si pesa di meno e anche tutto il resto inizia a pesare a sua volta di meno. E così tutto vale poco, qualsiasi valore viene ridotto a zero: perché se le cose vengono analizzate più superficialmente, al tempo stesso diventeranno meno importanti, daranno meno preoccupazioni. Se prima ci pensava l'eroina, adesso ci pensa l'immobilità. “L'uso di massa della droga, ecco l'accidia della nostra epoca” diceva Castellaneta, ma il giornalista non sapeva ancora che sarebbe arrivato qualcosa di più subdolo…
La droga di oggi non è quella sintetica: è silente. E' il falso utile, il falso buono, è la parte del progresso. Nasconde il suo volto mortifero dietro il politically correct. L'accidia corrode silenziosamente dall'interno: colui che rinuncia al ‘fare' è anche colui che non riesce a farsi una ragione sul suo comportamento.
L'accidia corrode l'atto dell'interrogarsi, del chiedersi il perché: si sopravvive ed è questa l'unica preoccupazione della giornata. “Allora proverò a mettermi dall'altra parte e a chiedermi se per caso in un mondo che arranca trafelato, in una società dominata dal mito della competizione, non sia per caso l'inerzia una virtù” si chiedeva Castellaneta.
L'accidia è una chiusura. E' la chisura di difesa del narciso di oggi: il fragile insicuro che riversa tutto l'amore che ha su se stesso per timore di sgretolarsi. E' partecipazione negata: la scelta di non partecipare alla vita esterna. Per essere accidiosi bisogna essere molto narcisisti: sono infatti le due caratteristiche che accomunano la maggior parte della giovane generazione spaesata. Come si fa ad essere accidiosi se poi non si ha un buon livello di narcisismo in grado di giustificare il continuo stallo senza sensi di colpa? Ma non dite che è colpa dei giovani, perché in questa giungla si salvi chi può.
di Claudia Manildo
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